Le case degli altri

Le case degli altri 

E’ buio, già da diverse ore.

La luce bianca dei lampioni riverbera sui muri del palazzo, creando giochi di ombre allungate. Il condominio dorme. I suoi occhi sono chiusi, riparati dalle grandi persiane di legno. 

Sono cessati tutti i rumori. Il vocione del portiere che dirige il traffico delle spese a domicilio. Luca che suona la chitarra con la finestra aperta; i flash mob si sono interrotti da tempo, ma chi vuole può ascoltarlo anche così. La Radice e la Montale che prendono il caffè insieme, ciascuna sul proprio balcone, e non la finiscono mai di cicalare e pettegolare. 

Nell’attico dell’ottavo piano Michele Rubini invia l’ultima mail e chiude il computer, con un gesto secco e un’espressione soddisfatta. E’ stata un’altra giornata intensa, iniziata quindici ore prima con il webinar della palestra. Aerobica tosta, la sua preferita. Sua moglie ci passa tutto il tempo con le iniziative on line. Yoga e pilates, cucina etnica e meditazione, ma anche visite a musei, presentazione di libri, tavole rotonde, colloqui con la psicoanalista e aperitivi con le amiche su House Party. Ha il dilemma di come riempire le ore, adesso che i suoi impegni abituali sono tutti sospesi. Lui, invece, di questi problemi non ne ha proprio. E’ il direttore commerciale di un’azienda medicale che, tra l’altro, rifornisce le sale operatorie e le rianimazioni degli ospedali; in due mesi ha già fatto il budget di tutto l’anno. Trascorre tutto il giorno tra una conference call e l’altra. Sono tante le cose a cui pensare. Mettere a punto un piano strategico, far marciare la squadra, sollecitare la produzione e la logistica,  interloquire coi clienti. Ma sotto stress ha sempre dato il suo meglio, è capace di una concentrazione chirurgica che non indulge a distrazioni. 

Riceverà un bonus come non l’ha mai visto prima. Non tutti i mali vengono per nuocere. Con tutto quel che gli costano le figlie nelle università americane e gli svaghi di sua moglie.

Si infila il pigiama e raggiunge Virginia a letto. Si è guadagnato il suo riposo, pensa. Il sonno dei giusti e degli imperturbabili che non si lasciano sbaragliare dagli isterismi di massa, ma mantengono dritta la barra.

Nell’appartamento al piano di sotto, Anna Pellegrini singhiozza rannicchiata su un divano di pelle nera. Piange suo padre, mancato una settimana prima. Hanno preso tutte le precauzioni del caso, perché non contraesse il Covid-19. E infatti il virus non c’entra niente. Si è alzato dal letto per andare in bagno, all’alba, e si è schiantato a terra per un attacco cardiaco. Un vecchio grande e grosso, tonfato sul pavimento esanime come un orso ferito. Non hanno potuto neanche fargli il funerale. Dopo la veglia in casa il feretro è stato trasportato nel giardino condominiale, e don Marco è venuto a benedirlo davanti a tutti i condomini che hanno recitato il Requiem in coro, affacciati alle finestre. Poi l’hanno portato via, in un deposito, in attesa di poterlo tumulare. 

Mentre tira su col naso Anna si chiede come faranno adesso, senza di lui. In quella famiglia sciagurata, segnata da tutte le disgrazie e ora scippata anche della sua stella polare. Le lacrime continuano a rigarle le guance. Già che c’è piange anche per tutte le altre cose. Suo fratello. Sua nipote. L’attività di famiglia alla deriva. Ma poi il cerchio si allarga, sempre più. Pensa alle rughe a zampa di gallina che le sono comparse intorno agli occhi, e non c’è crema che tenga. Alle smagliature sulle cosce e alla sua bellezza sfumata. Anche a tutte le illusioni. E poi finisce per piangere la sua vita intera, così diversa da come l’aveva sperata. Per il virus no, non si dispera. Capirai, fosse solo quello.

Si versa un bicchiere d’acqua e beve a piccoli sorsi, cercando di calmarsi. 

E’ scoccata da poco la mezza. 

Di là dal muro, in un’altra casa, finalmente Gabriella Alberici può smettere di far finta di dormire. Adesso che suo marito russa come un trattore, sgattaiola fuori da letto e si dirige nello studio. In un attimo gli controlla il cellulare, è pulito. Col computer ci mette un po’ di più, deve verificare la posta elettronica e Facebook. Per scrupolo butta un occhio anche a Instagram e a Linkedin, sai mai; le password le sa tutte a memoria.  

Sono tre anni che va avanti questa storia. Da quella notte in cui era andata in cucina a bere e le era caduto l’occhio sul telefono di Marcello, appoggiato sul tavolo. Aveva avvertito un impulso improvviso a prenderlo in mano e a guardarlo. Non si era mai sognata di farlo prima, in vent’anni di matrimonio. E invece quella volta l’attrazione verso il suo Iphone era stata fatale. Quello che ci aveva trovato dentro aveva confermato la sua intuizione nefasta. Lucia, si chiamava la zoccola. 

Poi erano state urla e liti, spiegazioni e recriminazioni, scuse e giuramenti. All’inizio aveva provato a negare l’innegabile, il fetente. Infine l’ammissione di colpa, suggellata da una sintesi sconcertante: “Non ti amo più come prima, ma voglio stare con te e coi ragazzi”. 

Così la decisione era toccata a lei. Ma come si fa a mandare a gambe all’aria tutto? Le abitudini consolidate e la vita condivisa. Le cene con i figli davanti al telegiornale, il Capodanno con gli amici e le estati in Sicilia, l’Esselunga al sabato mattina, la pizza della domenica sera, il tran tran di quella vita incanalata su binari così rassicuranti seppur non più scintillanti. 

Se l’era tenuto. Si era accontentata delle promesse. E aveva preso a controllarlo, ogni notte. La zoccola non demordeva e lo inondava di messaggi. Dopo un anno e mezzo, poi, ne era comparsa anche un’altra. Di queste cagne che cercano di intrufolarsi nelle famiglie altrui per soffiare i mariti delle altre. Era ricominciato il circo delle accuse e delle minacce, dei pianti e dei musi. E poi si era spento anche quel fuoco. 

Adesso è da un po’ che riga dritto, a meno che non si sia fatto più furbo. In questo periodo, in ogni caso, grandi  colpi di testa non può darne, serrato in casa come è. Un effetto collaterale fortunato.

Gabriella chiude la porta dello studio, tirando un sospiro di sollievo,  e si avvia verso la camera da letto, dove l’aspetta quel marito fedifrago che piace alle donne, a cui nonostante tutto non vuole rinunciare. 

Al primo piano Roberto Martinelli esce dal suo appartamento in punta di piedi. Cerca di non fare rumore perché la zitella dirimpettaia, che soffre d’insonnia, sta in agguato come una faina per sorprenderlo e fargli una scenata. E’ già successo due volte. A quel punto si sveglierebbero anche i suoi genitori, e poi chi li sente, quelli? 

Il lockdown lo rispetta di giorno. Non che abbia molte scelte, del resto, con la madre ansiosa e rigida che si ritrova. E poi deve studiare per la maturità, anche se ancora non si è capito niente di come verrà organizzata. Che casino! 

Ma di notte no. Quando tutti dormono sgattaiola fuori di casa con le scarpe in mano e cammina a zonzo, senza meta, per le strade deserte.

Nella via tutto è statico, immobile, c’è un silenzio denso e ovattato, interrotto solo dal suono lontano di qualche ambulanza. Guarda il cielo dove questa notte brilla la superluna, la più grande e spettacolare di tutto l’anno. Non sarà mai più così luminosa e vicina alla Terra nei mesi a venire; a Roberto pare un segnale di buona fortuna. Rivolge uno sguardo alla facciata del suo palazzo, le luci sono quasi tutte spente. E’ l’una passata.

E allora sopraggiunge un pensiero. 

Immagina di essere una farfalla e di svolazzare per tutti gli appartamenti del condominio. Fantastica di introdursi come un piccolo drone nelle case degli altri, e spiarne le vite. Trattenersi solo qualche istante, giusto il tempo di catturare qualche fotogramma, e poi passare da un’altra parte, ingordo di nuove immagini e di altre storie.  

E se potesse farlo, allora troverebbe Marisa addormentata con la televisione accesa, mentre una televendita gracchia a oltranza. Fulvio che fa l’amore con Margherita. Luigi che sogna di farlo con Martina, anche se accanto gli dorme Antonella. Claudia che chatta col fidanzato, che sta a Siviglia; chissà quando potranno rivedersi. Maurizio che per l’ennesima volta fa i conti del trimestre; continuando così dovrà di certo chiuderlo, il suo ristorante. Tiziana che traghetta la notte in compagnia di Netflix, perché quando cala il buio la paura di morire la attanaglia come una morsa d’acciaio, e di dormire non se ne parla proprio. Dario che disegna con la musica di sottofondo e non si fermerà fino all’alba; ormai sono tanti anni che viaggia su un fuso orario parallelo. Ines che accompagna in bagno la signora Malinverni, per la terza volta; se solo potesse mollarla e tornarsene al suo paese. Luisa che dorme beata, l’hanno messa in cassa integrazione e può starsene a casa tranquilla, invece che correre a destra e a manca da mattina a sera. Per lei è quasi una vacanza, ‘sto virus dei cinesi; chi la rivuole più l’esistenza travagliata di prima?!

Roberto scaccia il pensiero e si avvia nella notte profumata di mistero e solitudine, diretto verso quello che forse potrà trovare, pur senza cercarlo.

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